Come fare nella vita ciò che ami?
Pubblicato il 28 lug 2025
Fare un post su un post.
Why not?
Oggi analizziamo, svisceriamo uno degli articoli, forse l’ articolo che più mi ha cambiato la vita.
È difficile che qualcosa ti cambi la vita all’improvviso, è quasi sempre una sommatoria di cose.
Però questo post, nel momento specifico in cui l’ho letto, mi ha fatto cambiare prospettiva.
Il post che analizzeremo oggi è ”How to do what you love” di Paul Graham.
Dovrei spiegarvi chi è Paul Graham, ma non è il post adatto.
Sappiate che è il fondatore di Y combinator, il più grande incubatore di start-up al mondo.
Ho sempre ammirato le persone che sapevano già da piccoli cosa avrebbero voluto fare.
Sono poche le persone che poi realmente realizzano i loro sogni d’infanzia.
Ma quelli che ci riescono… chapeau.
Grandi, davvero.
E per gli altri?
Come si cerca ciò che si ama fare?
Ce lo hanno mai insegnato?
Dobbiamo fare per forza un lavoro che ci piace?
Queste sono le domande a cui risponde Paul Graham.
Go deep.
Come si cerca ciò che si ama fare?
È un compito difficile.
E come dice Paul:
“How much are you supposed to like what you do? Unless you know that, you don’t know when to stop searching. And if, like most people, you underestimate it, you’ll tend to stop searching too early. You’ll end up doing something chosen for you by your parents, or the desire to make money, or prestige — or sheer inertia.”
Molto spesso lo sottostimiamo, deleghiamo la scelta agli altri, oppure ci sembra talmente difficile che ci accontentiamo di scegliere subito.
Una cosa che mi ha insegnato l’università è che per analizzare qualcosa bisogna prima capirne i bordi, i limiti.
In linguaggio ingegneristico: i vincoli.
Ecco PG adotta lo stesso principio.
Per capire cosa amiamo fare dobbiamo impostare un limite superiore e un limite inferiore.
Li chiameremo, solo per oggi, upperbound e lowerbound.
(amici gestionali, fate bene ad odiarmi)
Per Paul, l’upperbound è:
“fare qualcosa che amiamo non vuol dire che ci piacerà ogni secondo”.
È fondamentale dire questo.
Quando fai qualcosa che ami, ci sarà sempre qualcosa che ti farà schifo di quel lavoro, di quell’ambiente, di quell’argomento.
Ed è importante capirlo al più presto.
Questa è una cosa che per esempio mi ha insegnato l’università: anche se il corso di laurea nella sua interezza è ciò che ami, non è detto che tutti gli esami ti piaceranno, anzi…
Però la chiave non è trovare qualcosa che ti piaccia sempre, ma qualcosa che ammiri nel lungo termine.
Qualcosa che oggi ti fa schifo, ma che tra tre mesi, una volta completata, ti rende fiero.
Le cose che più ci danno soddisfazione nella vita sono queste.
I raggiungimenti a lungo termine.
È dura.
Fa schifo, a volte.
Però quando hai finito, la felicità ti pervade.
Dura poco, purtroppo.
Però c’è.
Ecco, come upperbound dobbiamo trovare un qualcosa che stia in questo limite.
E il lowerbound?
Okay, fare qualcosa che non ci piace sempre ma che ammiriamo,
ma come capiamo cosa ci fa schifo?
Per Paul, il lowerbound è:
“ama il tuo lavoro più di fare qualcosa di improduttivo”
Se fai qualcosa che proprio non ami, tenderai a procrastinare, a sentirti costantemente demotivato.
Lì, purtroppo, non c’è video motivazionale che tenga.
Superato quel limite inferiore, bisogna cambiare.
Questi sono i due bordi nella ricerca della cosa che amiamo fare.
Ora veniamo all’area di questo poligono.
Okay i limiti li abbiamo circoscritti e ora?
Paul Graham inizia così:
“finding work you love does usually require discipline.”
È una continua ricerca.
E come tutte le ricerche, è faticosa, dura e molto spesso porta a vicoli ciechi.
Però è solo tramite la disciplina che riusciremo, prima a o poi, a trovare ciò che ci piace.
L’errore che ho fatto in passato è stato quello di cercare di capire se qualcosa mi piacesse o meno rimanendo in superficie.
In superficie non vedi nulla.
Vedi in modo parziale.
Non basta.
Per capire se qualcosa fa per te o meno, bisogna andare in profondità.
Agire.
Fare.
Sporcarsi le mani.
Solo dopo si potrà decretare se quel lavoro fa per noi.
Ed ecco la frase che ha cambiato totalmente la mia prospettiva:
“Always produce” is also a heuristic for finding the work you love. If you subject yourself to that constraint, it will automatically push you away from things you think you’re supposed to work on, toward things you actually like. “Always produce” will discover your life’s work the way water, with the aid of gravity, finds the hole in your roof.”
Agire ci porta, grazie alla forza di gravità, prima o poi, a quello che desideriamo.
A trovare finalmente il nostro scopo.
Ed è pura razionalità: è solo agendo che ti capisci.
È solo aprendoti che ti capisci.
(Tutto torna… Perché il blog?)
Molto spesso, quando si parla di ricerca di ciò che vogliamo fare, lo si fa in modo vago e poco chiaro.
Questo, invece, è un modo semplice e preciso per spiegare come trovare ciò che vogliamo fare nella vita.
È così semplice quanto potente.
Ovviamente “Always produce” ma cercando di dare sempre il massimo: è solo quando hai dato tutto che puoi capire se abbandonare o passare al prossimo.
Dobbiamo abituarci a dare il massimo in ogni cosa che affrontiamo.
Così possiamo davvero capire se è giusta per noi.
Ce lo hanno insegnato?
No.
Ci dicono che la passione arriva dall’alto, come se venisse Cupido con la freccia a decretare cosa vuoi nella vita.
Le scuole non alimentano nei bambini l’andare in profondità nelle cose.
Facciamo tutto, ma male.
Non si alimenta la curiosità.
Anzi, spesso la abbattiamo sul nascere.
Saremo tutti genitori, prima o poi. Vi prego…
Lasciamo i nostri bambini sognare, sporcarsi le mani con ciò che li appassiona, anche se non ne vediamo l’utilità immediata.
Smettiamo di instradarli in percorsi già battuti solo perché siamo noi insicuri del nostro futuro.
Diamogli strumenti e educazione per esplorare, per andare in profondità, per stimolare la loro curiosità.
E poi, se ci sarà bisogno, è giusto guidarli, certo.
Ma non cresciamo bambini disillusi già da piccoli.
Purtroppo ciò accade perché i genitori molto spesso sono disillusi.
E lo capisco.
Non so chi sarò. E sono l’ultimo a voler giudicare.
Però, a maggior ragione, almeno a loro, lasciamoli crescere, vivere, meglio di come siamo cresciuti noi.
Io credo che gli insegnamenti di Paul Graham dovrebbero leggerli chiunque.
Ma in particolar modo chi si sente perso.
Chi non capisce perché tutti sembrano aver trovato il proprio posto nel mondo e tu no.
Lo farei leggere al me di 18 anni, al me di 20 anni che cercava costantemente di capirsi.
Vagando, costantemente. Ma non fermandosi mai a capire realmente.
Io posso assicurarvi, ho capito più stando su una scrivania su un libro a studiare, che viaggiando l’Europa, facendo summer school e parlando con tantissime persone.
Datevi il tempo di capirvi. Ma agendo. Buttatevi.
Sperimentate.
Prima o poi, la forza di gravità ci porterà a destinazione.
Dobbiamo fare per forza un lavoro che amiamo?
Ecco la critica più grande a questo ragionamento.
Qualcuno lo spazzino dovrà pur farlo…
Sì, però qui arriva una delle prospettive più interessanti (e più criticate) di Paul Graham:
“If there’s something people still won’t do, it seems as if society just has to make do without. That’s what happened with domestic servants. For millennia that was the canonical example of a job “someone had to do.” And yet in the mid twentieth century servants practically disappeared in rich countries, sand the rich have just had to do without. So while there may be some things someone has to do, there’s a good chance anyone saying that about any particular job is mistaken. Most unpleasant jobs would either get automated or go undone if no one were willing to do them.”
Se un lavoro l’essere umano non vuole più farlo, è giusto, e probabilmente verrà automatizzato.
È un’estremizzazione, ma è una riflessione importante che vi lascio così.
Secondo me ha senso, ma meriterebbe un approfondimento.
E gli spazzini tolti…
E tutti gli altri che scelgono, magari, lavori estremamente pagati, ma che non gli piacciono?
Paul distingue due strade possibili:
- The organic route: diventa bravissimo in ciò che ti piace, fatti pagare e vivi bene.
- The two-job route: trova un lavoro che ti paga il giusto per vivere bene, e nel resto del tempo lavora a ciò che ti piace.
Ho 21 anni è ovvio che la mia vita è improntata nella prima strada.
Però chissà… se le cose non dovessero andare, la seconda strada non è male.
Bisogna essere flessibili, nella vita.
Paul chiude con la sua definizione di lavoro, in cui mi ci ritrovo molto:
“The definition of work was now to make some original contribution to the world, and in the process not to starve. But after the habit of so many years my idea of work still included a large component of pain. Work still seemed to require discipline, because only hard problems yielded grand results, and hard problems couldn’t literally be fun. Surely one had to force oneself to work on them.”
Fare qualcosa che dia un contributo originale al mondo, nel processo stesso, non solo nel risultato.
Per fare ciò c’è bisogno di disciplina. Di tanta forza.
Perché come ben sappiamo, i cambiamenti sono sistemici.
E per fare grandi cose, ci vuole tempo.
E non è detto che sia sempre tutto in discesa, anzi…
Conclusioni:
Ovviamente questa è la mia visione di questo post. Vi consiglio di leggerlo.
Quando lo lessi lo consigliai a tutte le persone a me care.
Credo che riesca bene a sciogliere qualcosa di molto complesso:
La ricerca del nostro posto nel mondo.
E non la semplifica. Non la rende facile. Anzi…
Però ci fa capire che solo con tanta fatica e scelte sbagliate potremmo un giorno essere felici di ciò che facciamo.
Essere felici di ciò che siamo.
Per poter educare i nostri figli alla vita che verrà.
E poter cambiare il mondo.
“If you know you can love work, you’re in the home stretch, and if you know what work you love, you’re practically there.”
Paul Graham
Grazie Paul Graham.
Per avermi aiutato in un momento difficile della mia vita.
Per avermi fatto guardare in faccia la realtà delle cose.
E se sono quello che sono oggi è anche grazie a questo post.
E se ho un blog, molto apprezzato direi ;), è anche grazie a te.
Ci vediamo in Silicon Valley.
Forse.
A presto,
A.L.