Un esame definisce chi sei?

Pubblicato il 17 set 2025

È un esame che definisce chi sei?

Siamo davvero esseri così semplici, riducibili a un voto dato da una persona che non ci conosce, che decide se siamo dei grandi o meno?

Una sommatoria di esami può definire chi sei.

Come affronti le difficoltà.

Come passi da “non ne so niente” a padroneggiare quasi tutto.

Come rendi sotto pressione.

Però resta pur sempre un’approssimazione.

Non siamo solo l’università.

O la nostra capacità, o meno, di preparare un esame.

Sicuramente è una buona approssimazione.

Ti fa capire a grandi linee se una persona è in gamba.

Ti suggerisce, in qualche modo, la sua identità.

Ecco, il problema è che, anche oggi che sono al terzo anno, continuo a credere che un esame ti definisca.

E per quanto posso dirti noi non siamo solo l’università e menate varie.

Sento ancora quella vocina.

Passi l’esame? Sei un grande.

Non lo passi? Sei un fallito.

E rimarrai tale.

Ed è tremendamente limitante.

Perché un esame non è altro che la combinazione tra ciò che si aspetta il professore e ciò che tu dovresti sapere, punto.

Ne più ne meno.

Un matching tra te e il professore, con lowerbound di 18.

Se non c’è matching, bene: ritenta.

Se c’è, ottimo: vai avanti.

Tutto qui.

Invece tendiamo a pensare che un esame sia l’intero fardello della nostra esistenza.

Che senza quel voto siamo destinati a rimanere dei falliti.

E anche se le cose oggi vanno molto meglio rispetto al passato, quella vocina c’è sempre.

Quella sensazione di rimanere imbottigliato.

Quella montagna da scalare che sembra ogni volta più alta.

Al punto da farti credere che forse è tutto insormontabile.

E tutti i desideri e le ambizioni della tua vita, sono dipesi da quel singolo, maledetto esame.


Ho sempre ammirato chi sa ridimensionare.

Chi riesce a separare l’emotività dalla razionalità.

Chi non appesantisce qualcosa che è già pesante.

Chi si vive la vita per com’è.

Senza troppe menate.

D’altronde un esame è solo un esame.

Non la finale della propria vita.


Eppure l’università, come la vita, se la guardi gradino per gradino ti sembra fattibile.

Appena alzi lo sguardo e vedi l’infinita rampa di scale, ti spaventi.

Pensi di fermarti.

Ma come puoi fermarti a metà?

Tornare indietro sarebbe altrettanto stancante.

Però andare avanti è dura.

E gli scalini a volte non sono fatti a regola d’arte.

Sono scoscesi, ripidi, dolorosi.

E per quanto facciano paura, basta un singolo passo per provare a raggiungere quello successivo.

Però ogni singolo passo che fai, senti sempre quella vocina.

“Ma che stai facendo?”

“Tanto non ce la fai”

“Non puoi farcela”

E a volte le credi.

Rischiando di buttare via tutta la camminata impervia che hai già fatto.

Altre volte invece vai avanti, anche se lei cerca di convincerti.

Ricordo perfettamente il momento in cui ci stava riuscendo.

A farmi credere che il fallimento avrebbe invaso tutta la mia esistenza.

E ricordo anche quel piccolissimo passo fatto con forza.

Incurante di tutto e di tutti.

Verso un obiettivo che è solo mio.

E da cui nessun esame al mondo potrà mai distogliermi.

Mai.


Un esame non definisce chi sei.

È affrontare gli esami che definisce chi sei.

È affrontare i problemi che definisce chi sei.

È affrontare la vocina che definisce chi sei.

E questo non significa essere sempre vincitori, anzi.

Significa fare ogni volta un piccolissimo passo verso ciò che vogliamo.

Anche se la montagna diventa più ripida.

Anche se lasciare tutto sembra più facile.


Perché, in fondo, l’università è un po’ la demo della vita.

Solo che almeno qui c’è il secondo appello…


A presto.

A.L.

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